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CORTE COSTITUZIONALE, SENTENZA 19 APRILE 2018, N. 77: PROFILI APPLICATIVI IN AMBITO GIUSLAVORISTICO

  • Immagine del redattore: Federica Banfi
    Federica Banfi
  • 23 apr 2018
  • Tempo di lettura: 2 min

Con la pronuncia in esame, la Corte ha statuito che il giudice civile, in caso di soccombenza totale di una parte, può compensare le spese di giudizio, parzialmente o per intero, non solo nelle ipotesi di “assoluta novità della questione trattata” o di “mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti” (così come sancito nell’art. 92 c.p.c.) ma anche quando sussistono “altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni”. Secondo la Corte, infatti, qualora non venissero tenute in considerazione analoghe fattispecie riconducibili alla stessa ratio giustificativa (ovvero un mutamento del quadro di riferimento della causa che altera i termini della lite senza che ciò sia ascrivibile alla condotta processuale delle parti) verrebbe perpetrata una violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza.

Basti pensare a una norma di interpretazione autentica o a uno ius superveniens con effetto retroattivo, a una sentenza di illegittimità costituzionale, alla decisione di una Corte europea, a una nuova regolamentazione nel diritto dell’Unione europea o altre analoghe sopravvenienze, sempre che incidano su questioni dirimenti.

Si tratta di ipotesi connotate dalla stessa “gravità” ed “eccezionalità”, pur non essendo ascrivibili in un rigido catalogo di casi, che debbono essere rimesse necessariamente alla prudente valutazione del giudice della controversia.

Di qui l’illegittimità costituzionale dell’articolo 92, secondo comma, del Codice di procedura civile “nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni”.

La Corte ha invece dichiarato non fondato il particolare profilo di censura che faceva riferimento alla posizione del lavoratore come parte “debole” del rapporto controverso.

Al riguardo, il Tribunale di Reggio Emilia sosteneva che la disposizione sulla compensazione delle spese non terrebbe conto della natura del rapporto giuridico dedotto in causa, ossia del rapporto di lavoro subordinato e della condizione soggettiva del lavoratore quale ricorrente.

Secondo la Corte, tuttavia, la qualità di “lavoratore” ricorrente (o resistente) nel giudizio avente ad oggetto diritti ed obblighi nascenti dal rapporto di lavoro, non giustifica, di per sé, una deroga all’obbligo di rifusione delle spese processuali a carico della parte interamente soccombente, e ciò pur nell’ottica della tendenziale rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale alla tutela giurisdizionale (articolo 3, secondo comma, Costituzione).

La Corte ha però precisato che, in conseguenza della pronuncia di illegittimità costituzionale dell’articolo 92 Cpc, rientrano nella valutazione del giudice anche le ipotesi in cui il lavoratore debba promuovere un giudizio senza poter conoscere elementi rilevanti e decisivi nella disponibilità del solo datore (c.d. contenzioso a controprova).

Il giudice dovrà, in particolare, verificare se vi sia o meno una situazione di assoluta incertezza su questioni di fatto (incertezza analoga a quella conseguente all’”assoluta novità della questione trattata”), eventualmente riconducibili alle “gravi ed eccezionali ragioni” che consentono la compensazione delle spese di lite.


 
 
 

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